Ristorantino Sa Tuedda – Settimo S.Pietro
All’approssimarsi della bella stagione, in una giornata che offre ai figli della Terra il piacere di un luminoso e confortevole sole, può risultare gradevole e non scontato abbandonare i grigi confini della città, per inoltrarsi verso la luce, alla ricerca di più ampi e incontaminati spazi.
Seppure risulti discutibile cosa s’intenda oggi per “incontaminato”, non è difficile regalare al nostro sguardo, il piacere di risolte ma ininterrotte figure di colori, che non concedano – giusto per il breve tempo di un faticoso sogno ad occhi aperti -, nel loro veloce avanzare, alcun onore al cemento, o alle violente stonature della asfissiante modernità.
Risulta facile quindi, percorrendo i pochi chilometri che ci separano dalle campagne, oltre le disordinate cittadine del cagliaritano, trovarsi tra verdi disabitate colline, interminati campi di grano, o irregolari variopinte coltivazioni, che disegnano un paesaggio ed un passaggio, in grado di offrirci l’antico sapore di un lontano, sconfinato orizzonte.
Terminato questo onirico stordimento, nei più miti confini dell’animo umano, si fa però strada un nuovo desiderio di intimità, per retrocedere, dalla vastità del latifondo, alla compostezza dell’aiuola e dell’orto di casa.
Il veloce tratto di strada, che separa la dimora di Jesus dalla cittadina di Settimo S.Pietro, è un breve, disagevole assaggio, dei sentimenti e delle emozioni sopra tracciate, che il vostro amato, nel fine mattinata di Sabato, affrontava in compagnia del Raschione Ettore e dell’ospite, ormai ricorrente, Ing. V-Hot, che i più cari e affezionati fan ben ricorderanno. Assente (questa volta giustificato) il terzo Triumviro ufficiale, Ing.Marrocu, oggi impegnato in gioviali attività e avvenimenti di Casata.
Destinazione dei tre Burricchi, il ristorantino
“Sa Tuedda” (tr.: l’aiuola, il piccolo orto), in quel di Settimo San Pietro, a pochi chilometri dal centro di Cagliari.
Il ristorantino (così recita l’insegna), è un piccolo gioiello a conduzione familiare, affacciato, in Settimo, nella esteticamente disimpegnata Via San Salvatore, arteria principale che attraversa longitudinalmente il Paese.
In effetti, l’impatto scenico esterno del locale non è particolarmente efficace, anche per via del temporaneo cantiere, predisposto al piano superiore del piccolo edificio.
L’allestimento interno, è invece gradevole e ben curato. Un’unica piccola sala con pareti dalle tonalità verdognole, è dominata dal suggestivo banconcino in pietra, dotato di una vetrinetta porta bottiglie, e sormontato da una struttura pensile, decorata con piccoli archi in legno e tegole in cotto, che fanno da riparo all’ingresso della cucina.
L’ambientazione, semplice ma di buon gusto, si compone di grandi e piccoli elementi d’arredo, quali quadri, mensole, libri, una bella credenza, e altri misurati decori.
Varcata la soglia del locale, veniamo accorti da un gentile e distinto signore – che poi si rivelerà essere un imprenditore edile occasionalmente prestato alla ristorazione -, che ci fa accomodare su un ampio e comodo tavolo, nei pressi della vetrina che dà sulla strada.
Nel concordare la scelta del menù, veniamo quindi eruditi sulla filosofia e sulle abitudini de “Sa Tuedda”: a parte qualche riconosciuta divagazione tracciata dal menù cartaceo, le pietanze del giorno che si possono gustare, sono quelle preparate dalla cuoca (la signora di casa) per soddisfare, equivalentemente e quotidianamente, le esigenze alimentari degli avventori o dei suoi fortunatissimi familiari.
Questo non significa, invero, che la cucina del ristorante e il servizio siano banali o poco qualificati: tutt’altro!
La richiesta fatta dai tre affamati Burricchi è quella di esordire con degli antipasti di mare, proseguire con un primo piatto, ed eventualmente terminare con un secondo. Il titolare, svelatosi successivamente fine conoscitore di vini – nonché pratico alchimista di sofisticate grappe casalinghe -, ci consiglia, tra le numerose e ricercate etichette della cantina, un vino bianco, vermentino DOCGS Aghiloia di Monti, composito dell’uvaggio fruttato del Funtanaliras, e quello più asciutto del S’Eleme; in quest’ultima annata, eccezionale!
Dopo aver gustato delle ottime ed invitanti bruschette condite da olio extra-vergine d’oliva dell’oleificio Perra di Dolianova, ci veniva quindi proposto un trittico di semplici, genuini, ma fenomenali antipasti: ali di razza bollita con patate e spolverata di bottarga, tranci di anguilla in sugo, con uva sultanina e prezzemolo, su letto di pane carasau (gustosissima), per finire con una inarrivabile zuppetta di cozze in salsina piccante. Il gusto delle cozze era talmente entusiasmante che Jesus, appena reduce da una personale intossicazione da mitili, capricciosamente pregava di poterne assaggiare una cruda. Quando si dice, su molenti chi non scrammenta mai!
Il primo piatto può considerarsi all’altezza, se non superiore, alla squisitezza degli antipasti: spaghetti al cartoccio di mare con gamberi, cozze, calamari e granchione. Semplicemente, come direbbe il Raschione, sontuosi!
A quel punto, riconosciuta la propensione e l’amore per la cucina di mare, da parte degli asinini commensali, l’abile maître proponeva loro una fritturina di pescato di giornata, in luogo di già accennati piatti di terra quali agnello alla vernaccia o carne di pecora, che probabilmente già divisava di consumare lui stesso per intero, anziché condividerli con tre difficili competitor alimentari.
La piccola fritturina, di ottima fattura generale, era composta da calamari, muggine, gallinelle di mare e murena. Prendendo spunto dalle fette di limone poste a decoro, impagabili la discussione e gli aneddoti, relativi all’utilizzo del medesimo.
Concluse le portate principali, si passava quindi all’offerta dei dolci, che venivano accompagnati da uno strepitoso moscato della cantina di Ambrogio Locci, di Monserrato. Si iniziava con un assaggio condiviso di deliziose seadinas di ricotta, impreziosita da abb’e mele (saba di miele), per proseguire con una prima dicotomia di indirizzo: sebada al miele di cardo selvatico per il Raschione e il V.O., ottima Crème brûlée, servita in terrina di cotto per Jesus. Negata la possibilità di un caffè, per via dell’improvviso difetto del sistema di preparazione a cialde, si passava subitamente agli amari: liquore alla liquirizia “Tanca dei pavoni” per Ettore (a suo dire, la migliore mai consumata), grappa barricata “Poli” (tasso alcolico 55°) di Bassano del Grappa per Jesus e il V.O.
Da lì in poi, inizia una disquisizione rispetto ai termini di preparazione delle grappe, che porterà il vostro amato a prendere personalmente “visione”, di alcuni dei preparati alchemici sopra citati, tra cui una strepitosa grappa al miele. Gesù!
Costo finale del pranzo, 30€ cadauno, assolutamente ridicoli, in considerazione della qualità/quantità di quanto mangiato e del servizio che, a parte qualche piccola trascurabile sbavatura, si è rivelato sempre puntuale e attento.
Lontana dall’idea del latifondo della ristorazione, dalla sistematica e industriale organizzazione della cucina, “Sa Tuedda” rappresenta il piccolo orticello familiare, una piccola preziosa aiuola, dalla quale attingere i frutti più prelibati della nostra Terra, quando si abbia voglia di assaporare i veri e genuini sapori dell’intima tradizione culinaria, campidanese e non.
Tre meritati Burricchi, con menzione speciale.
VALUTAZIONE “Sa Tuedda”: Tre Burricchi con menzione speciale. | |||
---|---|---|---|
Ristorante Sa Tuedda | Indirizzo: Via San Salvatore 14, Settimo S.Pietro Telefono: 3280510511 [mostra in google maps] |
★ |
Condividi su Facebook |