nov
3
2012
Oca Bianca – Ingresso
Per l’ambizioso lettore che cerca l’interpretazione del sistema secondo un prontuario di simboli antichi possono venire incontro i chackra della tradizione indu. Si tratta di sette vortici di energia che hanno la funzione di assorbire quella universale per alimentare i vari livelli del campo energetico, collegarli con il corpo fisico, ed infine rilasciarla all’esterno. Il perfetto funzionamento del sistema energetico è sinonimo di buona salute e, di conseguenza, la totale apertura di tutti i chakra consente di raggiungere quel livello energetico che i grandi maestri orientali chiamano Illuminazione.
Oca Bianca – Interno
Proprio nel primo chackra, il Muladhara, localizzato ahimè nelle zone meno nobili del corpo umano, ricorre la simbologia del dio Brahma, signore dell’origine dell’universo, dotato di quattro volti e rappresentato come un fanciullo. La sua cavalcatura è l’oca bianca dal capo striato, animale che nella tradizione indù rappresenta l’anima e che viene identificato con il cigno dai traduttori occidentali. I quattro volti della divinità avrebbero contemplato, oltre a tre noti somari Jesus, Ettore e il rientrante Ing. Marrocu, la presenza del burriccu dal capo blucerchiato Dott. Melis, simbolo della mera parsimonia e vittima della stessa negatività introdotta nel sistema e dei propri timori per una folle spesa fuori dal bilancio.
Oca Bianca – Antipasti
Cagliari, venerdi 2 novembre, quartiere Marina, ore 20:45. Nel giorno della commemorazione dei defunti, dopo aver trovato un fortunato accomodamento vista mare per la fedele utilitaria, in barba alle più funeste previsioni di parcheggio del sedicente navigatore (cuccurra) Jesus, i due stoici somari potevano godersi uno scorcio della movida cagliaritana ed approfittare dei tempi favorevoli, prima di riabbracciare il presunto defunto e ritardatario Ing. Marrocu, di ritorno da un viaggio in terra americana, viaggio che apporterà alla causa solamente improbabili racconti, non supportati da adeguata documentazione, per consumare un aperitivo a base di prosecco e gamberi presso il friendly ristorante La Tavernetta, poco distante dalla meta designata per le celebrazioni dell’ennesima ciccionata: il ristorante L’Oca Bianca, nella centrale via Napoli.
Ravioli freschi della casa
Tagliatelle allo zafferano
Il locale è sviluppato su tre livelli, dei quali il pian terreno è dedicato alla cassa, alle cucine e ad un angolo bar/caffetteria, mentre i rimanenti ospitano le sale per i clienti. Le pareti color crema fanno risaltare il muro di protezione per la scala color antracite e sono arredate con grossi specchi e stampe retrò che, unite alla particolare musica di sottofondo, riportano i Donkeys ai tempi della Belle Epoque nella Ville Lumiere degli inizi del secolo scorso.
Oca Bianca – Filetto di manzo al Porto
Completano il quadro un singolare accostamento fra indecifrabili lampadari a goccia colorati di dubbio gusto, probabilmente frutto di regali di nozze reciclati, e ventilatori da soffitto rossi, stile anni ’60 che, uniti ad un efficiente impianto di condizionamento, garantiscono una temperatura in sala ottimale in qualunque periodo. Suggestivo l’effetto regalato da potenti fari alogeni collocati all’esterno in modo da illuminare a giorno, dal basso verso l’alto, le finestre che danno sulla via Napoli, protette sul lato interno da efficaci tende i cui colori ben si sposano con quelli delle pareti.
Tagliata con provola
Filetto di Tonno
I tavoli sono quadrati in legno scuro, rivestiti da tovaglie color crema, le sedie nere. All’uscita delle rampe di scale trovano posto i servizi. Complessivamente ciascuna sala può ospitare circa 20-25 coperti. Veniamo fatti accomodare al secondo piano, in una sala con tutti i coperti occupati durante il corso della (lunga) serata. Il servizio al nostro piano è garantito da una giovane e simpatica cameriera, che si alternerà con una altrettanto giovane collega ed un terzo cameriere.
Oca Bianca – Cheese cake ai frutti di bosco
L’Oca Bianca propone una interessante offerta di terra e di mare che spazia tra la cucina italiana, piatti etnici e pizzeria. Nonostante la tentazione di orientarsi su piatti etnici, i tre somari riconoscono la propria incompetenza nel settore e convergono verso un percorso di piatti tipici della tradizione nostrana. Notevole la scelta della cantina, fra cui il buon Ettore individua il nettare prescelto: il più volte lodato Vermentino DOC 2011 Tuvaoes delle cantine di Giovanni Cherchi di Usini (SS), servito con l’immancabile rito dell’assaggio del nostro esperto sommelier Ing. Marrocu, talmente esperto che per tutta la serata pensava fosse un Funtanaliras: burriccu!!
Essendo formalmente negata la possibilità di una degustazione di antipasti, i tre voraci avventori selezionano quattro piatti tra le varie alternative di menu. Dopo una prima attesa contenuta iniziano le danze: ottimo carpaccio di polpo all’arancia con vellutata di zucchine, notevole insalata di carciofi con scaglie di bottarga su un letto di pani carasau, straordinario tomino di capra grigliato con miele di corbezzolo e noci su un letto di rucola: spettacolo! In un secondo tempo arriva l’unico antipasto caldo della serata: notevole polpo scottato con patate e aceto balsamico. Terminati con soddisfazione gli antipasti i burricchi devono attendere abbastanza per i primi piatti, attesa consumata dal racconto di improbabili aneddoti dell’Ing. Marrocu in terra straniera:
Ing. M.: La cosa che più mi infastidiva era che una persona su tre aveva una pistola!
E.: Era Lei era uno dei tre?!
Torta irlandese
Semifreddo al torroncino
I primi piatti confermano, a parte qualche dubbio insinuato dal nostro ipotricotico burriccu, e per questo da considerarsi ininfluente, i medesimi livelli di qualità fino ad allora apprezzati: ottimi ravioli della casa con ricotta e verdure per Jesus e tagliatelle allo zafferano con bottarga e nocciole, valutate ottime secondo chi Vi scrive, mentre meno gradevoli risultavano al fine palato dell’Ing. Marrocu che rilevava sentori di aglio eccessivamente riscaldato.
Stimolati dalla qualità dei piatti e favoriti da una oculata scelta degli antipasti che ha evitato precoci sensazioni di sazietà, i tre voraci triumviri scelgono di provare i secondi piatti. Nella notevole attesa che seguirà potranno apprezzare un discreto ricambio di clientela in sala, a favore delle nuove generazioni e delle quote rosa, con notevoli punte di eccellenza nel risultato finale. Luci e ombre anche per i secondi piatti: tagliata di filetto con provola e rucola per l’ipertricotico Jesus, valutata non entusiasmante ed eccessivamente cotta, filetto di manzo al Porto, valutato eccessivamente dolce, probabilmente perchè condito con un vino dolce e liquoroso, filetto di tonno al pepe nero e radicchio per Ettore, variante questa della proposta iniziale del menu che prevedeva sesamo nero, indisponibile per la serata, ottimo per sapore, ma eccessivamente piccante per chi l’ha scelto.
Non avendo ancora raggiunto la saturazione alimentare i tre somari non rinunciano ad assaporare i dessert della casa: impegnativa torta irlandese al cioccolato con marmellata all’arancia e pan di Spagna imbevuto nella birra Guinness, per un NON amante del genere, Jesus, ottimo semifreddo al torroncino con granella di pistacchi per l’Ing. Marroccu, straordinaria cheese cake ai frutti di bosco per Ettore. La cena si conclude con caffè per Jesus e Marrocu, abba ardente Santu Lussurgiu per Jesus e ottimo liquore di liquirizia Myrsine (Dolianova). Costo dell’esperienza: 53,34€ cad. burriccu, probabilmente un 10% eccessivo rispetto alla qualità complessiva del servizio provato, e comunque meritevole di una mancia d’integrazione, quota ripartita non uniformemente tra i tre compagni di merende e che vede Jesus, vittima del resto, come azionista di maggioranza.
Un notevole assortimento dell’offerta che garantisce qualità elevata dalla pizzeria alla cucina etnica, passando per la cucina nostrana, unita ad un servizio preciso e puntuale e ad una gradevole e particolare ambientazione fanno de L’Oca Bianca il teatro ideale per piacevoli serate accompagnate dal buon cibo. I costi non popolari probabilmente scoraggeranno molti parsimoniosi avventori, ma per quanto ci riguarda, non avendo rilevato sbavature di entità, non possiamo che conferire l’encomiabile giudizio di tre burricchi: complimenti!
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lug
15
2012
Officine di Hermes – Interno
Hermes, figlio di Zeus e della Pleiade Maia, l’inventore del fuoco, della lira e della siringa (leggi flauto di Pan), dotato di grande scaltrezza, capace fin da bambino di rubare e nascondere la mandria immortale di Apollo e di celarne le tracce, tanto da sollecitare l’intervento come arbitro dello stesso Zeus che, durante la discussione viene ammaliato a tal punto dal suono della lira da assolvere completamente la baby divinità.
Gli fu attribuito il ruolo di interprete, di messaggero degli dei, fu inventore del pugilato e per questo protettore degli atleti, intervenne a protezione di Priamo Re di Troia questi entra nell’accampamento acheo per chiedere che gli fosse restituito il corpo del figlio Ettore per dargli i funerali, nonostante fosse schierato dalla parte degli Achei nella guerra.
Preferiamo in ogni modo ricordarlo come scrissero Platone e poi Socrate: Hermes è dio interprete, messaggero, ladro, ingannatore nei discorsi e pratico degli affari, in quanto esperto nell’uso della parola; suo figlio è il logos, pur ritenendo che in realtà di questi dèi non sappiamo nulla, probabilmente perchè, come chi Vi scrive, si erudirono sull’argomento guardando Pollon.
Officine di Hermes – Apri cena
Intrecci storici e mitologici portano in questa occasione tre figure asinìne di cui si legge e si scrive molto, messaggeri della cultura della tavola, e per questo amate, rispettate, ma anche criticate e attaccate da sedicenti ronzanti filosofi del terzo millennio, presso le officine in cui presero forma le invenzioni che il buon Hermes regalò ai mortali.
Trattasi di Jesus, figlio di Zeus, Ettore, figlio di Priamo e di un’oscura eminenza grigia che non vuole svelarsi in questa occasione al nostro pubblico e che chiameremo, nel rispetto della privacy richiestaci, al fine di depistare qualsiasi associazione, IM.
Officine di Hermes – Cinquina siciliana
Venerdi, ore 21:25, dopo una serata che ha visto il nostro ipertricotico burriccu vittima di un tentativo di sequestro della propria persona presso un noto autolavaggio di Cagliari, salvato unicamente dall’aria condizionata della fedele autovettura, dopo aver trovato un accomodamento per la citata 150CV, Jesus ed Ettore attendono l’arrivo del sedicente ospite, che di lì a poco arriverà esibendo l’orologio del proprio dozzinale telefono, auto congratulandosi per una puntualità, decisamente sforata di alcuni minuti: burriccu! Punto di convergenza Le Officine di Hermes, nella via De Magistris al centro di uno dei quartieri più eleganti della città.
Officine di Hermes – Gnocchi di patate allo scoglio
Il locale si configura come un Lounge Cafè Restaurant: arredamento moderno e lineare, ingresso in cui spicca una sorta di teca con tre ceri accesi, in onore del fuoco di Hermes supponiamo (anche se preferiamo ricordare ciò come un omaggio al Triumvirato). Di fronte all’ingresso domina il bancone del bar, separato dalla sala principale da un elegante paravento divisorio. La sala, ospita poco più di venti coperti, le pareti e i pilastri a vista sono tinteggiati di un particolare verde oliva molto chiaro; la parete portante è attrezzata con diversi ripiani, in cui trovano posto differenti bottiglie della riserva, oltre che un poco opportuno televisore LCD.
I tavoli sono quadrati, di colore bianco, sorretti da un’unica struttura metallica e rivestiti da eleganti tovaglie trasversali scure.
Officine di Hermes – Tonno cipolle pomodorini
Il servizio in sala è garantito da un unico ma efficiente e molto cordiale cameriere. Un primo scambio di battute tra Jesus e il responsabile della sala sulla disposizione a tavola rompe subito i formalismi. J: Mi siedo qui per avere le spalle coperte. C: Come in Sicilia, non si spara mai ai barbieri!
Il locale propone un’offerta di cucina tipica siciliana, accompagnata da una cantina che spazia dalle (poche) etichette nostrane ai vitigni di tutto il SUD Italia.
Non appena accomodati ci viene servito un ottimo calice di prosecco di produzione artigianale da vitigni siciliani, accompagnato da un sontuoso apri cena composto da tomino di capra su un letto di miele d’arancio, impreziosito da scorze di arancia e granella di pistacchi di Bronte: straordinario!
Dopo questo esordio col botto, arriva il momento della scelta del nettare con cui accompagnare il percorso alimentare appena intrapreso. Non avendo molta esperienza su etichette non sarde la scelta è ricaduta su quella dal nome più accattivante, e in questo caso decisamente appropriato: un ottimo Lacryma Christi DOC (leggi cuccurra di Jesus) del 2010, della cantina I Nobili del Vesuvio di Boscotrecase, composto per l’80% da uve Coda di Volpe e per il 20% da Falanghina; l’assaggio affidato al nostro ospite IM, che insinua subito dei dubbi, rivelatisi poi infondati, sull’appropriato accompagnamento con i piatti che ci si apprestava ad assaporare.
Officine di Hermes – Cannolo siciliano
In assenza di menu, non ci viene presentata una vera e propria offerta di antipasti, ma ci viene servita la codiddetta cinquina siciliana composta da: arancino siciliano, timballo di olive, mattonella di melanzane condite con formaggio fresco, zucchina ripiena di ricotta di pecora e pastella fritta alle olive ed alici. Ottima preparazione e trionfo di sapori, sebbene meno raffinati e molto più tradizionali del piatto che li ha preceduti.
Terminati con successo gli antipasti concordiamo col cameriere un percorso di cucina di mare e per la prima volta nella serata ci viene offerta una scelta di piatti; scelta unanime per il primo piatto: gnocchi di patate allo scoglio con sugo, arselle, cozze e delle discutibili fette di surimi. Primo piatto molto particolare, con il giusto equilibrio di sapore e piccantezza, sebbene registriamo un inspiegabile aumento della corposità delle pietanze, e una conseguente lieve flessione della qualità, rimanendo comunque molto al di sopra della media. Gli gnocchi, la cui forma poco regolare poteva far pensare fossero caserecci, erano in realtà confezionati, ma ciò non ha inciso sul gradimento complessivo del piatto.
Officine di Hermes – Tiramisù
Il giusto equilibrio nelle dosi dei piatti appena consumati lascia ancora spazio ai tre voraci avventori per provare altri doni degli dei del fuoco. Scelta comune anche in questo caso: ottimo tonno rosso al vapore con cipolle e pomodorini, dal sapore delicato e leggero, sebbene la pigmentazione del pelagico in questione fosse in netta contraddizione con la denominazione del piatto.
Di fronte ad un’invitante offerta di dolci tipici della nostra isola cugina, il burriccu Jesus sceglie il poco esotico tiramisù con savoiardi di Fonni, risultato comunque particolarmente gustoso; altra scelta per i rimanenti commensali che premiano il cannolo siciliano, risultato buono, anche se non di recentissima preparazione.
La cena si conclude con un caffè per Jesus e un liquore di liquirizia Liq per Ettore e IM, servito colpevolmente con ghiaccio perchè non conservato alla temperatura adeguata.
Per dovere di cronaca segnaliamo l’imbarazzante proposta del cameriere di offrire ai burricchi lo stesso trattamento economico dei clienti col coupon di groupon, proposta rigettata con un secco: Assolutamente no! ci faccia il prezzo intero! Pur non sapendo quanto la nostra replica sia stata ascoltata, riportiamo comunque un costo della serata di 29€ cad. Burriccu, decisamente inferiore alla qualità dei piatti e del servizio offerto, e per questo rimpinguata da una cospicua mancia, sebbene non egualemente distribuita fra i commensali.
Le Officine di Hermes valorizzano in maniera ottima una cucina tipica che ha molte somiglianze con quella sarda, sfruttando la straordinaria qualità dei prodotti freschi dei nostri mari e i migliori prodotti delle terre di Sicilia, affidandosi alle mani di uno chef d’alta scuola e a personale preparato e cortese, un binomio ideale che, unito ad una location molto elegante benchè poco capiente, garantisce una serata gradevole per gli ospiti.
Le potenzialità della cucina sono enormi, probabilmente in questa occasione penalizzate da una scelta di antipasti eccessivamente corposi, mentre interessante è risultata l’offerta dei vini.
Al netto delle poche sbavature citate possiamo sicuramente collocare il locale fra le mete da visitare assolutamente, e non solo per la parte più attenta alla spesa dei nostri lettori, e formulare una valutazione di tre somarelli più che meritati.
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feb
18
2012
Taverna di Castello – Cattedrale di Cagliari
La comune tradizione cristiana, prescrive di innalzare i templi della fede popolare, fin su nelle più alte vette, o di elevare maestose cupole e imponenti campanili oltre il culmine delle urbane costruzioni le quali, dal canto loro, con rispetto e reverenza nei secoli passati, mai hanno divisato di sfidare il mistico dominio del culto e della edificazione dello spirito; spirito che, condotto e guidato dalla fede, deve poter toccare il cielo e dall’alto dominare qualsivoglia espressione di umana potenza e superficiale vanità. Di questa reale e surreale consuetudine, abbiamo qui visiva trasfigurazione, nella discreta sagoma del monumento dedicato a San Francesco, ubicato nella piazzetta Carlo Alberto in Cagliari, già piazza del Municipio o – ancora più addietro negli anni, in epoca aragonese -, la “Plazuela”, dimora del patibolo riservato ai nobili della città.
Taverna di Castello – Interno
La minuta figura mortale del Santo, viene ivi sovrastata dall’imponente duomo barocco che, con perfetta simmetria e proiezione dell’immagine alle sue spalle, ne ridisegna i contorni dello spirito, elevandoli al cielo, oltre tutto ciò che appare umano e terreno.
Alle ore 20.50 di Venerdì 17 sera Jesus ascendeva, in compagnia dell’ultra-ortodosso Raschione Ettore, verso il culmine del colle di Castello, non seguendo le tracce e gli irti sentieri dell’anima, ma bensì lasciandosi condurre da un meno trascendente ascensore panoramico: «Raschione, sai quanto poco basta a sfracellarsi al suolo dentro queste scatole infernali?»
«Jesus statti zitto, brutta cuccurra, ca…!»
Taverna di Castello – Antipasti
Penitentemente discendendo il colle, tra le pittoresche viuzze del Castello antico, percorso un breve tratto della via “La Marmora”, si possono incontrare l’uscio e la piccola insegna in legno – a onor del vero non particolarmente seducenti – de “La Taverna di Castello”, o “Tavernæ di Castello”, secondo la dizione riportata sulla porta di ingresso.
Alle ore 21.00, Jesus e il Raschione, puntualissimi come da loro abitudine, varcavano la soglia del ristorante, non prima di aver sollecitato telefonicamente un attardato e ingiustificato Ingegner Marrocu, in quel momento impegnato (anche questo come d’abitudine: i responsabili delle forze dell’ordine possono contattarci per avere maggiori dettagli sul suo autoveicolo!) in un parcheggio free-cost al limite della legalità, che ne avrebbe poi condizionato il benessere emotivo per il resto della serata.
Taverna di Castello – Maccarrones de busa
L’interno del ristorante è invero delizioso e suggestivo. Discese le brevi scalette all’ingresso, ci si ritrova in quella che appare una piccola cripta o l’anfratto di una antica cantina medioevale. La sala principale, che ospita un esiguo numero di tavoli squadrati, è sormontata da una splendida copertura in legno, integrandosi rusticamente con la caratteristica cucina a vista sul fondo, da essa – non olfattivamente – disgiunta per mezzo di un elegante separè.
Le spesse pareti in pietra sono impreziosite da suppellettili d’arredo familiare, e da alcune gradevoli nicchie scavate nella muratura, che assumono il ruolo di pratiche mensole o piccole librerie.
Taverna di Castello – Ravioli di cernia
Ad una seconda graziosa saletta (ancora più minuta della principale e caratterizzata da una robusta volta in pietra), si può accedere discendendo ulteriormente e brevemente di livello. L’illuminazione è garantita da sobri lampadari in ceramica, mentre, dal fondo della cucina, si odono indistinte le note di compilation dei Police e degli U2, prese a pretesto dall’Ing.Marrocu per dare prova di una sconfinata cultura musicale, manifestata per la conoscenza di ricercate composizioni di nicchia, quali “One” o “Sunday bloody Sunday”!
Sebbene in parecchi riescano ad apprezzare il valore delle band sopra citate, sarebbe più opportuno, data l’impronta e l’atmosfera del locale, indirizzare la riproduzione musicale verso stili quali la Classica o il Jazz, e comunque evitare in maniera categorica i Police, in grado di scatenare freudiani malesseri in paranoici avventori quali il buon Ingegnere.
Taverna di Castello – Gamberi all'arancia
Il servizio, gentile e impeccabile, è garantito da un’unica giovane cameriera, che freneticamente corre per la sala assistendo i comunque non pochi avventori ed accogliendo i nuovi arrivati (anche ad orari non più tollerati da taluni ristoratori).
Il menù, seppur non eccessivamente articolato, svaria tra pietanze di terra e di mare. Per queste ultime – ci viene espressamente indicato -, è prassi e profilassi del ristorante congelare preventivamente gli ingredienti, anche il pescato di giornata, al fine di preservare la salute dei propri clienti. Seppure tale scelta potrebbe far pensare a un subordine nella qualità complessiva, i Donkey accettano la sfida della cucina, impostando la cena nell’ottica dei piatti di mare. Tale audacia, vedremo, risulterà gratificante.
Taverna di Castello – Tagliata di tonno
Dopo aver scelto il vino per la serata – un ottimo vermentino DOC Tuvaoes della cantina di Giovanni Cherchi -, e dopo aver apprezzato i favolosi crostini all’olio proposti come panini d’accompagnamento, al tavolo dei burricchi venivano presentati una serie di cinque eccellenti ed originali antipasti, quattro di mare, più una integrazione di terra richiesta da Jesus.
Nell’ordine potevamo quindi apprezzare: crostini con delicatissimo patè di salmone, carpaccio di tonno con verdure, arancia e pepe rosa, eccezionale insalata di polpo con ananas, melone e scorze di arancia, polpette di dentice su letto di rucola e aceto balsamico, per finire con un ottimo piatto di bresaola condita con rucola grana e limone, che a dire il vero ci saremmo aspettati essere carpaccio di manzo (pezza crua), ma che giustamente non sarebbe stato in linea con la filosofia di profilassi precedentemente manifestata.
Taverna di Castello – Creme caramel
Di altissimo livello anche i due assaggi di primi, consumati dalla totalità dei commensali: maccarrones de busa con bocconcini di pesce spada, pomodorini e menta, raviolini di cernia con pomodoro fresco e gamberi al profumo di zafferano. Buonissimi!
Differenziati invero i secondi piatti. L’Ing.Marrocu si deliziava con dei classici gamberi cucinati “alla sarda”, con aglio e prezzemolo, mentre il Raschione sceglieva di tralignare dai canoni tradizionali, optando per i gamberi con condimento d’arancia: superbi! Meno fortunata la scelta di Jesus.
La pur buona tagliata di tonno con pomodorini e rucola, non si è rivelata comunque all’altezza di tutte le precedenti pietanze, per un eccesso di cottura del tonno stesso. Questo è l’unico appunto che possiamo muovere quest’oggi alla cucina de “La taverna di Castello”.
Cheescake
Crema catalana
Ineccepibile anche la qualità dei dolci: creme caramel con guarnitura di panna montata e fragole per Jesus, cheescake con fragole per il Raschione, crema catalana classica per l’Ing.Marrocu.
Conclusione della cena con due sublimi liquori alla liquirizia (“Eclisse”) più la consueta grappa barricata per Jesus.
Costo finale complessivo, 41€ cadauno, assolutamente inferiori al valore della cena proposta, e quindi integrati con una cospicua e meritata mancia, interamente finanziata da Jesus e dal Raschione perché l’esigentissimo Ing.Marrocu si è proposto ormai da tempo di premiare esclusivamente i ristoranti che raggiungono il sesto burriccu, su una scala di cinque!
Quattro (meno meno, per i difetti evidenziati) sono i burricchi che invece quest’oggi vogliamo attribuire a “La Taverna di Castello”, per una qualità della cucina di primissimo livello e per l’ambientazione intima e suggestiva, che ne fa meta ideale per romantiche serate in compagnia. Assolutamente da non perdere!
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dic
24
2011
Bianca la neve sulle colline. Nero il cielo della notte, luttuoso velluto brillante di festa. Variopinti i colori dei pacchi dono che, saldi e immortali sotto gli alberi del Natale, invocano il loro arrogante destino il quale, come ogni fine dell’anno, nei tempi dell’impero del vile denaro, essi attende.
Doni di circostanza, doni d’affetto; doni bramati, disattesi, sofferti, sospirati, rinnegati e infine respinti, perché non per tutti e non in tutte le case il Natale, il giorno della vigilia, significa diletto, ma per qualcuno ha l’amaro e dolce sapore dell’addio.
Buone feste a tutti e tutte le fan da parte del Donkey Challenge ❤!
Rinnegati i colori di questa insensata comune gioia, perché così è – se vi pare –, e trainati dal galoppo di 150 possenti renne, la notte dell’antivigilia un nero figlio Natale Jesus (perdonerete la confusione) e il suo fiero assistente Raschione Ettore, galleggiavano lascivamente in un cielo senza stelle, non più a dispensare strenne e scontata allegria, ma per arrogare a sé i piaceri e i doni dell’essere, che prescindono da quella sublimazione dei sensi che voi usate chiamare amore, ma che esplodono di mille sfumature dell’oro e dell’argento, là dove l’assuefatto e disattento uomo dell’oggi non arriva a scorgere.
Hibiscus – Fiore di guttiau pomodorini capperi
Hibiscus – Panini al latte, letto di Carasau
Celati con il nome di un fiore, i licenziosi piaceri dell’essere, i tre Donkey ufficiali
– Jesus, Raschione Ettore, Ing.Marrocu – , quest’oggi li hanno trovati nel celebre Ristorante Hibiscus, sito nella centrale via Dante, in Quartu Sant’Elena.
Il locale è alloggiato in quella che, a parte l’assenza di un porticato, ha la tipica struttura delle case campidanesi, con un piccolo cortile centrale, circoscritto da differenti e variegati ambienti, topologicamente disposti a ferro di cavallo o, se volete, a U.
La sala del ristorante/bisteccheria si colloca sull’estremità Nord-Ovest del cortile di ingresso ed è integrato, con tutta probabilità, in un locale un tempo adibito a masseria o granaio. L’arredamento e l’anima stilistica complessiva, appaiono invero piuttosto indecifrabili. Le rifiniture sulle altissime pareti ricordano (o esaltano) le murature in “ladri” (mattoni di fango e paglia). Gli imponenti architrave in legno e il tetto in pannelli di truciolato, richiamano l’impronta contadina della sala, così come le piccole feritoie, le mensole in legno e gli eleganti punti luce, che esaltano alcune vecchie bottiglie di vino, impreziosite da suggestive ragnatele (non sappiamo se parte integrante della scenografia).
Hibiscus – Zuppetta di cozze e arselle
In fondo all’ambiente signoreggiano uno splendido camino/barbecue e un più discutibile bancone delle carni, con annesso frigo delle bevande. Altrettanto opinabile la scelta delle tovaglie di plastica, con appariscenti decori dalla natura dozzinale/casereccia e la presenza di un TV LCD e di un proiettore maxi-schermo.
Particolarmente eleganti invece le ceramiche impiegate lungo l’incedere della cena, che per alcune portate potevano ricordare signorili ciotole di cuoio piane.
Assolutamente ineccepibile il servizio in sala, quasi unicamente tenuto e condotto da una graziosa e gentile giovinetta, probabilmente la figlia del padrone di casa, lo chef Nino Figus, che compariva e scompariva dalla sala, con il proponimento di dirigere le operazioni e interagire con i non numerosi clienti.
Hibiscus – Tortelli di spigola
Accomodati ad una comoda e pratica tavola rotonda, su non troppo solide sedie in legno, i Donkey potevano quindi iniziare la loro nuova passionale avventura. Esordio cortese e molto gradito con uno spumante di benvenuto, accompagnato da un fiore di pane guttiau con pomodorini, buonissimi capperi sotto sale e olio d’oliva; poco dopo sarebbero arrivate delle superbe sferoidali pagnotte al latte, su letto di eccellente pane carasau. Scelta inevitabile l’assaggio di antipasti di mare, accompagnati da un vermentino di Gallura DOCG, Canayli. Gli antipasti sono, senza mezzi termini, risultati tutti eccellenti, in termini di genuinità, presentazione estetica e accostamento di sapori, tanto da tradire ben subito l’impronta esperta e raffinata dello chef.
Hibiscus – Soufflé ghiacciato alle arance
Arrivavano quindi, al tavolo degli asinini commensali: bottarga di tonno su letto di rucola, basilico pomodorini e aceto balsamico, flan di pecorino con bottarga su vellutata di crescione, insalata di astice con pomodorini e agrumi, tortino di pecorino fiore di gavoi con uova di quaglia su letto di pane carasau, per terminare con la più strepitosa zuppetta di cozze e arselle mai assaggiata dai navigati Triumviri, onorata con scarpetta finale: sublime!
Di altrettanto indiscusso livello i primi piatti: gloriosi tortelli di orata con polpo fritto e frutti di mare per Jesus, maestosa fregola con crostacei e porcini per Ettore e Marrocu. Chiediamo scusa per non poter riprodurre quest’ultimo piatto, per effetto dei rigidi controlli di qualità, che hanno inesorabilmente escluso, nostro malgrado, la relativa rappresentazione visiva.
Hibiscus – Semifreddo alla liquirizia
Hibiscus – Croccante alle mandorle
Valutata l’abbondanza delle ottime pietanze fino ad allora consumate, e in considerazione dell’avvicinarsi di prossime comandate libagioni, i tre decidevano di orientarsi subitamente ai dessert: spettacolare soufflé ghiacciato alle arance amare per Jesus, croccante alle mandorle su crema di fragole per Ettore, semifreddo alla liquirizia con crema e cannella per Marrocu, tutto accompagnato da un ottimo moscato passito.
Il pasto quindi volgeva al termine con un caffè per Jesus e un Jagermeister (assente la liquirizia) per il Raschione.
Costo complessivo della cena: 46€ cadauno, da giudicarsi adeguato se non finanche inferiore alla qualità delle pietanze e alla gradevolezza del servizio.
Indiscutibile l’altissima qualità della cucina, le uniche marginali critiche che possiamo rivolgere al ristorante Hibiscus sono l’impronta non pienamente definita dell’ambientazione, e la scomodità dei servizi, a cui è possibile accedere esclusivamente lungo un breve percorso al freddo e al gelo.
Dalla gelida scenografia della mangiatoia, Jesus e gli alitanti Burricchi vi augurano Buon Natale!
Nota: a seguito di ulteriori personali e congiunte visite al ristorante, che hanno consentito di assaporare un numero considerevole di straordinari piatti sempre nuovi e creativi, abbiamo ritoccato al rialzo la nostra valutazione, assegnando una menzione speciale per l’instancabile e meritoria azione sperimentatrice dello chef Figus. La cucina e il servizio dell’Hibiscus si impongono senza dubbio al top tra i ristoranti da noi visitati, mentre il giudizio complessivo continua a difettare del sommo riconoscimento, a causa di una location pur accattivante, ma con qualche strutturale difetto.
VALUTAZIONE “Hibiscus”: Quattro Burricchi con menzione speciale. |
Ristorante Hibiscus |
Indirizzo: Via Dante Alighieri 81, Quartu S.E.
Telefono: 070881373 [mostra in google maps] |
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ott
3
2011
Su Passu – Interno
Veloce incede sulla strada; si ferma e accelera, osserva e ricupera. Curioso e indifferente, stralunato e attento. Il Passo… di Jesus.
Con sicurezza affonda. Irridente e impavido, l’avanti con bramosia attende, e mai si traversa a rimirar se stesso. Il Passo… del Raschione Ettore.
Incosciente ardisce. Solenne e altero, teatrale e indefesso. Il suo ego atteggia, di sè gioisce, del vicin s’indigna. Il Passo… dell’Ing.Marrocu.
Su Passu, il passo, il valico… Convergenza dello spazio infinito nella stretta puntualità del tempo, simbolo e democratica espressione del comune ineluttabile destino.
Su Passu – Ricotta uova di salmone fragole
Interminata, interminabile Estate («ma candu accabbada!?»). Sabato notte; Jesus e il raschione Ettore soggiungono puntuali nella centralissima Via Pessina, in Cagliari, e stoicamente incontrano il di loro ineluttabile destino, che li attendeva celato all’ombra della notte. Destino alimentare, è ovvio..
Considerato il tepore di un clima caparbiamente aggrappato alle ultime tremanti illusioni della morta stagione, i due burricchi storici possono sfoggiare il meglio del loro guardaroba estivo. Completo ultra-firmato e costosissimo luxury Philip Watch al polso di Ettore, consueta tenuta simil-pedduzzone, con bermuda, maglietta, cappellino e ultimo schizofrenico tatuaggio, ostentatamente in bella mostra, per Jesus.
Su Passu – Carpaccio di pesce spada ananas
L’Ing.Marrocu, terzo triumviro ufficiale affianca in ultimo l’autovettura del Raschione, che nella circostanza, molto spontaneamente, s’era proposto come vettore di Jesus:
«ma dove m… si trova il locale???»
«giusto di fronte a lei, ingegnere!»
Ore ventuno circa. Sotto un’appariscente insegna in stile motor-cowntry – per certi versi incomprensibilmente disallineata rispetto al tema generale – i tre affamati Triumviri, per l’occasione in formazione tipo, varcano finalmente la soglia del ristorante “Su Passu“.
Su Passu – Involtini d'alga gamberi allo zenzero
Gli spazi del locale sono topologicamente distribuiti su di un’unica e non molto estesa sala, che dal suggestivo ingresso sulla Via Pessina si estende linearmente ed elegantemente fino ad un aggraziato bancone alloggiato sul lato opposto.
Semplici e familiari, appaiono la decina di tavoli all’interno, mentre in stile pregevolmente moderno è il soffitto del ristorante, adornato con tre appariscenti rosoni stilizzati e in tinta laccato-bianca, sorretto da archi a volta e valorizzato da numerosi punti luce.
Tutt’attorno le pareti sono tinteggiate con tonalità dell’arancio e del giallo paglierino, sapientemente decorate con mensole, suppellettili ed inserti in pietra. Arricchiscono l’ambiente alcuni raffinati specchi in ferro battuto e graziose lavagne rettangolari, sulle quali vengono riportati i vari menu del giorno. Complessivamente lo stile è piuttosto ordinario nell’idea generale, ma molto curato nei dettagli, tanto da presentarsi con “passo” gradevolmente signorile.
Su Passu – Fregola alle aragostelle
Il servizio in sala è garantito da un gentilissimo ed attento gestore/cameriere – che visibilmente trasmette la passione e l’entusiasmo per il proprio lavoro – ed una più discreta e riservata cameriera – probabilmente oriunda -, dal conturbante fascino esotico («what an apricot!»).
Il menu del ristorante Su Passu, con particolare riferimento ai piatti di mare, è giornalmente variabile, in funzione dei prodotti freschi disponibili, approvvigionati la mattina stessa.
Dopo una breve simpatica schermaglia con il cameriere, ci lasciamo convincere nel farci trasportare dalla corrente emozionale e creativa dello/a chef.
Su Passu – Gamberi al cioccolato bianco
Il vino scelto per la serata è un Vermentino di Gallura DOCG Canayli della “Cantina Gallura” di Tempio Pausania (ringraziamo Igor Usai per la segnalazione, ndr.). «Straordinario», come giudicato al culmine del consueto rituale dell’assaggio, prodotto dalla enfatica gestualità dell’Ing.Marrocu.
Anticipiamo da subito che, riguardo il compendio statistico dei piatti proposti dalla cucina del ristorante, non possiamo non rilevare un livello medio di poco inferiore al “superbo”, in termini di qualità delle materie prime, presentazione delle pietanze, originalità e tecnica di preparazione. Tale livello si è invero mantenuto, con varianza pressoché nulla, durante tutto l’incedere della cena.
Su Passu – Bis di semifreddi
Gli antipasti si articolavano quindi in un – non meglio definibile – baroccheggiante tris di mare, composto da:
ricotta densa con uova di salmone, bottarga, fragole e condimento d’alga marina, carpaccio di pesce spada su letto di lattuga, ananas, fiori di zucca e spruzzata di uova di sgombro, gamberi allo zenzero con base di foglie di banano, filetto e uova di sgombro, involtino di alga di Ross(?) con formaggio dolce, salmone e avocado. Gloriosi!
Il primo piatto, comune per tutti e tre gli equidi commensali, non era da meno: Sontuosa fregola artigianale con aragostelle, spruzzata di bottarga e tri-puntuale decoro al nero di seppia.
Su Passu – Fantasia di cioccolato
A dir poco “spirituale”, infine, il secondo piatto, che riusciva a far sollevare verso il cielo, in segno di pio ringraziamento, gli occhi – e le orecchie – dei pur navigati burricchi. Gamberi al cioccolato bianco su letto di arancia, guarnito con avocado, piccolo cachi e uova di sgombro: «Babbo ti ringrazio»!
Di ottima fattura, anche se forse un gradino al di sotto rispetto il livello delle pietanze fino allora servite, i dessert conclusivi: bis di semifreddi al bacio perugina e alla frutta per il Raschione Ettore, fantasie – rispettivamente – di cioccolato e alla crema per Jesus e l’Ing. Marrocu.
Su Passu – Canayli
Il pasto poteva dunque concludersi con l’assaggio di due eccellenti e corposi liquori siciliani alla liquirizia, per il Raschione e l’Ing. Marrocu, e di un moscato – forse a dire il vero servito un po’ troppo freddo, unica piccola ombra della serata – più caffè per Jesus.
Costo complessivo della cena 33€ cadauno, assolutamente ridicoli se paragonati alla qualità di cucina, servizio e gradevolezza ambientale – alla quale dobbiamo finanche ascrivere la piacevolezza dei frequentatori di sesso femminile del locale – subito arrotondati con venti euro di mancia.
Consideriamo quindi l’esperienza de “Su Passu”, a parte taluni trascurabilissimi dettagli, assolutamente di altissimo livello, tanto da poter ascendere ai primi posti della mistica classifica asinina. Un ristorante dove l’attenzione per il cliente e l’amore per la cucina sono scontate prerogative di base.
Unico suggerimento che possiamo dare, dotare la sala di un opportuno strumento di riproduzione acustica, come amabile supporto alla pur molto curata ambientazione.
Nota: dobbiamo nostro malgrado registrare, la chiusura di questo locale.
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