ott
23
2014
Dedoni – Interno
Si affaccia, indietreggia, tiene il passo; si nasconde all’angolo, osserva chi passa, intravede chi lo scorge da di qua del suo sguardo. Cammina presso ai muri per non dare nell’occhio, si ferma e borbotta qualcosa; gioca con il cellulare, risponde, simula una chiamata, si guarda intorno e riprende il cammino. Scruta in fondo ai vicoli, analizza i dettagli, con distacco si lascia trasportare dai profumi della Via, veloce ricompila per sé la ricetta più prossima alla sua memoria. Rianalizza gli ingredienti, ricompone il tutto, trasfigura, miscela e, pletorico, con platonica soddisfazione personale, sentenzia infine il suo verdetto: «qui ci vorrebbe un “Costamolino”»! E’ il professionista delle ciccionate, il guru del mangiar bene, il sofisticato gourmet al di sopra del gusto comune, il solare Dio Apollo, fiammeggiante nel firmamento della Scuola di Pirri. Insomma, il Burriccu DOC.
Dedoni – Antipasti
Otto Settembre. Agosto alle nostre spalle, l’Estate ancora ci rincorre, l’afa ci abbraccia prepotente, come una donna che non può fare a meno di te. Sembrerebbe che noi, invero, possiamo fare a meno delle donne – almeno per quest’oggi -, e la serata all-screwdrivers, tanto per cambiare, è presto organizzata. Jesus, il Raschione Ettore e l’Ing. Marrocu si danno appuntamento in quel di Via Angioy, in Cagliari. Luogo del contendere, il Ristorante “Da Dedoni”, di recente cittadina apertura. Dall’eccellente punto di parcheggio, con maestria conquistato dal Raschione Ettore, fino alla posizione in cui avrebbero poi incontrato il puntuale Ingegner Marrocu (che non con eguale rettitudine aveva intanto alloggiato il suo motociclo, giusto in fronte al locale), possono i Donkeys apprezzare pregi e difetti della Cagliari sedicente colta e culturale. Da uno scorcio urbano pittoresco e seducente, fino al pestilenziale fragu de aliga che come un fulmine a ciel sereno ti trafigge, quando ti avvicini ai cassonetti straripanti di umana beltà. Ahimè!
Alle ore 21, il Triumvirato della ristorazione sarda, in formazione tipo, poteva finalmente varcare la soglia del locale.
Dedoni – Fantasia di pesce spada e bottarga
Il ristorante è strutturalmente organizzato su una topologia a forma di martello. Dal disimpegno d’ingresso, caratterizzato da una prima concentrazione laterale di coperti a ridosso della vetrina che dà sulla strada e da un bancone d’angolo, ci si immette in una sorta di largo corridoio, con due lunghe file di tavoli periodicamente disposti a ridosso delle pareti. La distribuzione dei tavoli, segue idealmente il percorso tracciato da una sorta di controsoffitto lineare color nocciola, che cela dentro di sé l’impianto di condizionamento centrale, e concentra ai suoi lati numerosi punti luce.
L’impatto estetico complessivo, in equilibrio tra uno stile moderno e minimalista, è a nostro parere piuttosto disarmonico, anche in virtù di una inelegante pavimentazione chiara, composita di piccole pianelle quadrate, che seguono pedissequamente la traccia longitudinale della sala. Con una pavimentazione più moderna color cotto, o false arcate spezzanti la monotona continuità della sala, tutta l’atmosfera di certo ne avrebbe da giovare.
Dedini – Fregola ai frutti di mare
Pochi gli astanti presenti – uno dei quali a fine serata si congederà dalle sue ospiti swinging from the chandeliers -, il servizio era tenuto dal titolare e da un altro cameriere. Sbrigativamente veniamo introdotti agli antipasti, che saranno in tavola esattamente tre minuti dopo il loro ordine! Contestualmente richiediamo un primo comune e scegliamo il vino: dapprima un Vermentino di Gallura DOCG Superiore “Cucaione” di Piero Mancini, seguito poi da un DOC “Olianas”, di identico uvaggio, direttamente estrapolato dall’Ing.Marrocu dopo una delle sue celebri escursioni in pellegrinaggio verso la vetrina dei vini.
Dedoni – Astice alla catalana
Gli antipasti si componevano di una serie di cinque portate, di cucina piuttosto semplice i quali, per quattro quinti, non ci hanno particolarmente stupito in ordine alla fantasia e alla ricercatezza realizzativa: tonno con olio e cipolle; tranci di salmone in umido con pomodori e olive; polpetti alla diavola; insalata di polpo con patate e prezzemolo; fantasia di carpaccio di pesce spada con cuore centrale di bottarga a scaglie su letto di radicchio. Il primo piatto comune, era invece una fregola ai frutti di mare, con base di pasta industriale e condimento di cozze, gamberi e seppie, almeno da quello che siamo riusciti a carpire visivamente, olfattivamente e a livello gustativo…
Dedoni – Cruditè di frutta
Dedoni – Profiterol
Non ancora pienamente soddisfatti, sceglievamo di proseguire la cena con un secondo piatto. Nella fattispecie, due astici di piccola pezzatura cucinati alla pseudo-catalana con olio, cipolle bianche, pomodorini e decoro di foglie di sedano. Gusto complessivo, comunque non entusiasmante. Prima dell’arrivo degli astici c’è stato un rinfrescante intermezzo di verdure in pinzimonio (finocchio, ravanelli e pomodorini).
Dedoni – Dolcetti sardi
Infine i dolci: profiterol al gelato di cioccolato per il Raschione, cruditè di frutta esotica, con ananas e Kiwi per l’Ing.Marrocu, dieta per Jesus. I primi dolci sono stati seguiti poi da un assortimento di dolcetti sardi classici, offerti dalla casa, accompagnati da un moscato di produzione locale, con gradazione più simile a quella del fil’e ferru piuttosto che del moscato!
Il pasto si concludeva qui. Costo complessivo della cena, 48 euro cadauno, da giudicarsi un 20% superiori rispetto al giusto dovuto, in funzione di qualità del servizio e della cucina di sufficiente valore ma, complessivamente, non particolarmente brillanti, almeno nella serata descritta.
Il nome è in qualche modo altisonante per la ristorazione cagliaritana. La cucina è semplice e l’ambientazione senza troppe pretese. Ideale per cene non troppo impegnative, o per uscire con due ragazze contemporaneamente, per poi però ubriacarvi, venire deriso dalle due, e non riuscire a concludere nulla. Due burricchi, meno meno meno.
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gen
15
2014
Accademia – Interno
Scrivo la recensione. Non ho, e mai troverò il tempo di fare altro. Insomma, questo non è un esercizio speculativo né un omaggio alla filosofia, ma un’imprescindibile spettanza, un dovere e un possedere – in ordine alla geometrica composizione degli eventi – il senno di una necessità. Da qui partiamo e siamo sempre partiti. Qui ci troviamo e baluginiamo, come inetti e formidabili, come estraniati ed intromessi, come discenti e precettori, come semplici ed onorabili curatori del giardino di Academo, senza altra volontà nostra o altrui, con la consapevolezza di nulla aver da insegnare se non a noi stessi. Giusto ora ho il tempo di fare. Di scrivere la recensione, e così sia.
Accademia – Antipasto
La sera del Saggio. Giusto la brina e i vetri appannati della 150cv, sotto il pesante alitare di due famelici quadrupedi, sembrerebbe dare all’atmosfera la parvenza di un Inverno che, di fatto, non è mai arrivato. L’emozione della consumanda attesa, per la prossima divisata avventura alimentare, non tradisce la celere attenzione che Jesus e il Raschione Ettore ripongono nel dosare la velocità dei passi, con il malcelato intento di escludere all’Ing.Marrocu ogni privilegio di ammonimento, per i pochi minuti di ritardo accumulati. All’Incirca verso le 21.03, il ritrovato Triumvirato della ristorazione sarda, varca la soglia del ristorante.
Accademia – Ali di razza in brodetto
Peraltro, già nel recente passato i burricchi avevano avuto modo di visitare questi spazi, ma il locale aveva un altro nome e un’altra gestione. Nulla, in prima apparenza, ci risulta mutato nell’originale ordine estetico: una prima sala al piano terra, viene delimitata lateralmente dal lungo bancone del Bar, che si allunga fino alla cucina a vista. Un secondo ambiente, al piano superiore, appare più elegante e formale e si contraddistingue per tonalità cromatiche sul grigio e sul nero, nonché per qualche arzigogolato motivo sulle pareti. Il gentilissimo e numeroso personale – in prevalenza, del gentil sesso – accoglie l’avventore al suo arrivo, già disponendo i suoi soprabiti nel guardaroba, accompagnandolo su per le scale al tavolo a lui riservato ma (almeno nel nostro caso, per un apparente deficit di coordinamento) lasciandolo lungamente in attesa, prima di poter informarsi sul menù e comandare le bevande d’esordio. Veniamo investiti, al nostro ingresso, da un pungente e quasi fastidioso effluvio indefinito, all’inizio ricondotto, dalla illetterata quiescenza mnestica di Jesus, all’odore della vulgare polpa di granchio. Ovviamente, apprenderemo più tardi trattarsi, al contrario, di costosissimi Tartufi bianchi, che sarebbe comunque opportuno sigillare con cautela, data la smisurata propulsione aromatica.
Accademia – Gnocchi di patate
La complessità della proposta della “Accademia” ci lascia comunque spiazzati. Non vi è un menù “a la carte”, ma ci vengono presentati due percorsi degustazione di terra e di mare. Ovviamente scegliamo la seconda strada. E’ ben fornita la cartina, nella quale identifichiamo il vino preferito dall’ing.Marrocu: bianco Tharros I.G.T.”Karmis” delle cantine “Contini”, democraticamente anteposto, dopo accese discussioni, alla alternativa indicata dal Raschione. L’aspetto caratteristico e sostanziale del locale, però, è quello di dedicare particolari attenzioni alle famiglie con prole, avendo allestito per la figliolanza due sale con attività ludico-intrattenitive, gestite da personale qualificato e costantemente monitorate da telecamere collegate agli schermi visibili sulla parete Sud. Ovvero, potete leggerla in questi termini: se avete un giorno deciso – per una qualunque ragione che non staremo qui comunque a censurare – di mettere al mondo dei piccoli lanzichenecchi, avete la possibilità di farli confinare nelle anguste segrete del ristorante, per evitare che vi rompano le sfere di Dyson per tutta la cena. Purtroppo, in sede di prenotazione, avevamo già constatato come la detenzione coatta non fosse prevista per la categoria “Ingegneri”.
Accademia – Trancio di orata
Ad ogni modo, il proponimento iniziale viene rispettato in toto, salvo però uniformemente ridistribuire le pressioni gravitazionali tra tutti gli astanti in sala, la quale, per effetto dell’andirivieni dei terroristi in erba, diviene presto facilmente chiassosa: «pitticcu su dolor’e conca!»
Altra inusitata costumanza dell’”Accademia”, è quella di trattenere e intrattenere i propri ospiti mediante il periodico manifestarsi di esibizioni in stile flash mob, condotte non da attori o saltimbanchi, ma dagli stessi camerieri, che si improvvisano ballerini, cantanti e rumoristi. Il risultato finale di questa filosofia è gradevole dal punto di vista dell’intrattenimento ma esclude, ad esempio, la possibilità di scegliere il ristorante come primo tenero indirizzo per le novelle relazioni; questo, nonostante i pur romantici candelabri rialzati ai tavoli, con tanto di lumino d’ordinanza. Altro aspetto da considerare è l’efficacia del servizio; certamente più che sufficiente in termini generali, ma quasi interamente riposto nelle mani dell’unica esperta maître (tra l’altro già presente nella passata gestione) relativamente al contributo assoluto di qualità.
Accademia – Cruditè di ravanelli
Qualche piccola imperfezione, durante l’incedere della serata, dobbiamo in effetti registrarla, partendo da un certo difetto di coordinamento («scusate, i ragazzi hanno fatto confusione, i primi vi sono già arrivati?»), passando per la lentezza generale della cena (terminata oltre mezzanotte, ma questo possiamo attribuirlo alla sincronizzazione dei tavoli sul menù fisso) fino alla flemmatica modalità con cui ci è stato servito il vino: innanzitutto è arrivato il piede della seau a glace, poi è arrivata la seau a glace ed infine – quando gli antipasti erano stati per metà divorati -, è giunta la bottiglia. Con quest’ultimo dettaglio, terminano gli appunti che possiamo muovere al locale. Questo perché, sin da subito, abbiamo intuito come la cucina della “Accademia dei Gusti” avrebbe dimostrato una qualità dei piatti inusuale e preziosa, con pietanze non banali, composizioni ed esecuzione impeccabili, presentazioni molto ben curate.
Accademia – Dessert
L’Antipasto era composto da una sontuosa cruditè di gambero con delicatissima spuma di rafano, abbinata ad uno spiedino di cozze pastellate agli agrumi, maionese biologica, brunoise di verdurine e decoro di germogli di spezie. Seguiva quindi un ante-primo costituito da un “brodetto” di ali di razza leggermente piccante (al peperoncino fresco). Subito dopo, ci veniva offerto un “primo” più corposo: gnocchetti artigianali (esteticamente, più simili ai dadini) di patate novelle, con vongole, zafferano e pomodorini fragolini. Una delle creazioni più gustose mai provate, a memoria di burriccu.
Come secondo, la proposta era un trancio di orata in salsetta di bietole selvatiche e patate cotte al vapore, che l’Ing.Marrocu avrebbe preferito dal gusto più deciso, seguito da una semplice ma gustosa cruditè di ravanelli rossi “sfogliati”. Il dolce infine – accompagnato da un discreto moscato -, era un tris di delicatezze: torta di mele alla cannella, raviolino fritto, pere al cioccolato. Queste ultime invero, se il piatto fosse stato riscaldato prima del servizio, sarebbero divenute ben più accattivanti, avendo il cioccolato assunto una misura più morbida ed avvolgente.
La cena si concludeva quindi con tre caffè, un Rum “El dorado” per il Raschione e una grappa barricata per Marrocu. Prezzo complessivo (su una base di 25 euro fissi, non comprensiva di bottiglia e amaro extra) 31 euro cada-adulto, da giudicarsi inferiori per un buon 25% al giusto dovuto. Da menzionare, inoltre, la bontà dei panini offerti ed approvvigionati per tutta la serata.
Il Ristorante “Accademia dei Gusti” è veramente un’anomalia nel panorama della ristorazione cagliaritana. Una eccentrica mescolanza tra un ristorante di classe e lo spettacolo di cabaret di una nave da crociera. La cucina è deliziosa, mentre il servizio risente della impostazione strutturale, orientata alla teatralizzazione. Tre burricchi, con menzione speciale per il servizio di baby-sitting.
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mar
23
2013
Ranch steak house – Interno
Tanto greve mi fu questa carne, che inconsapevole vestì il mio pensiero, che caritatevole raccolse la mia essenza, che severa edificò le prigioni della mia anima.
Tanto ingrato fu il mio sangue, che timoroso cercò in me rifugio, che austero navigò la mia vita, che ribelle cercò di fuggirmi via.
E ora che la vedo lì sul piatto, disinvoltamente placida, smembrata e ferita, lacerata e scomposta, incisa e arsa da fiamme che mai arrivò a sentire, mi chiedo se questa sia ancora la mia, e non il povero banchetto di un burriccu qualunque.
Ranch steak house – Rosticini di pecora
Sette furono i burricchi, invitati all’ultimo “povero” banchetto del Donkey Challenge, in quel di Sinnai un tiepido Venerdì di Quaresima.
Organicamente disposti su una tavola oblunga, i commensali ammirano e dileggiano il loro Jesus, benedicente al centro. Fortunatamente non sono in tredici, altrimenti avrebbero avuto l’onere di eleggere un traditore d’ordinanza, che sarebbe stato schernito, schironato e cotto al termine della cena, qualora le provvigioni del ristorante “Ranch steak house” non fossero state in linea con le esigenze della loro stessa linea, ovverosia esigenze di ablazione e rimozione mentale.
Ranch steak house – Rosticini di maiale
Non parlerò della specifica composizione della tavolata, giusto per non disattendere eventuali esigenze di intrallazzo a cui taluni Triumviri ufficiali oggi assenti (non parlo di Jesus, né del Raschione Ettore) ci hanno abituato, e solo brevemente accennerò al come i tre minuti di ritardo di due prestigiosi e puntualissimi burricchi, siano stati cagionati da una difettosa interpretazione degli indirizzi senza civico, da parte di un tecnologico GPS integrato nel Nokia Pureview di Jesus («Il tuo navigatore dice più cazzate del Burriccu Taras»). Penserà il Raschione, ad articolare i doverosi insulti del caso; sottolineo solamente che, per effetto di un ulteriore e increscioso ritardo di una coppia (laica, speriamo) di commensali, non prima delle 21.10, il gruppo asinino ha potuto varcare la soglia del ristorante.
Ranch steak house – Antipasti di carne
Ad una prima osservazione, il “Ranch steak house” si propone come un locale luminoso, ordinato ed asetticamente elegante, in contrapposizione all’idea che potremmo avere di una spartana bisteccheria, come una nostra atavica traduzione archetipica ci imporrebbe. Superato il vestibolo di ingresso ci si immette lateralmente nell’ampia sala da pranzo, caratterizzata da pareti dalle tonalità ocra pallido, terminanti una contro-soffittatura color latte dalle belle linee moderne. Buona parte della muratura, inoltre, è dominata da piccoli mattoncini orizzontali in pietra, occasionalmente interrotti da sagome bronzee, stilizzate sui temi della natura. L’arredamento è rustico ed essenziale mentre, come nostro solito, giudichiamo inopportuna la presenza di un vistoso televisore LCD sul fondo della sala. Per lo meno, in questa occasione, la TV risultava opportunamente silenziata.
Ranch steak house – Trofie e tortellini
l servizio in sala è affidato a due giovani camerieri, e alla empatica professionalità del titolare che, con fattezze e prorompenza da sportivo (praticamente il sosia di Dejan Stanković) intrattiene gli ospiti, suggerisce i percorsi culinari da intraprendere e, con abile maestria da macellaio, taglia e serve la carne direttamente ai tavoli.
In effetti tale maestria non appare casuale, dato che l’arte della macelleria è di casa in questa steak house, a differenza della celerità del servizio che, nonostante un locale praticamente semi-vuoto, si è dimostrato di una lentezza traumatica – in particolar modo nell’attesa dei primi piatti e dei caffè – tanto da farci concludere la cena dopo oltre tre ore di permanenza, per la gioia di uno dei commensali, che la mattina dopo avrebbe dovuto alzarsi alle sei (per non citarlo, il Burriccu Sollai). Beh, che dire … cazzi suoi…
Ranch steak house – Burriccu alla piastra
Il menù è quasi interamente basato sulle carni e suoi formaggi, eccezion fatta per i “primi del giorno” che lo stesso titolare evita comunque di consigliare, non essendo la loro specialità. Ottimamente fornita la cantina, ma la cernita del vino viene affidata alla competenza dello chef (tanto per non citarlo) Taras che, in fase di formalizzazione della comanda, punta silenziosamente il dito verso il tavolo vicino. Trattavasi di un ottimo carignano IGT Isola dei Nuraghi “Misa” 2008, delle tenute di Carlo Pili, servito però un po’ troppo caldo e con un fastidioso difetto di depositi sul fondo. In effetti questa è una caratteristica strutturale dell’etichetta, ma un attento sommelier avrebbe istruito le doverose ed efficaci contromisure da apportare.
Ranch steak house – Parasangue di cavallo
Ineccepibile la qualità delle carni, goduriosamente manifestatesi in tutte le sfumature più o meno tradizionali. Iniziamo col degustare dei fantastici rosticini di pecora all’abruzzese, su un letto di pane carasau con funzione di leccarda post cottura, licenziosamente sbranata una volta ingurgitata l’ultima briciola di carne.
Seguivano inoltre: ottimi spiedini di maiale accompagnati da una salsina messicana ai peperoni; goulash di carne di cavallo, impiattato in una tortilla su una base di rucola fresca; eccellente (almeno per Jesus) accostamento di prosciutto crudo su base di pecorino fuso, impreziosito da miele tartufato.
Lo chef Taras, inoltre, chiedeva espressamente di assaggiare una tartare di manzo cruda, che dapprima arrivava al nostro tavolo su una base di mozzarella (la cui qualità era discutibile se comparata a quella dell’ingrediente primario), rucola e riduzione di aceto balsamico, per poi – su ulteriore richiesta di semplificazione -, venire derubricata in semplice carne e rucola.
Ranch steak house – Fiorentina alla piastra
Abbiamo già parlato della lentezza con cui sono stati prodotti i primi piatti. Non sappiamo bene cosa sia accaduto in cucina ma di certo, per una disarmonia termica della pasta, dobbiamo ipotizzare che alcune porzioni siano state riscaldate post-cottura, oppure impiattate in modo superficiale.
Ad ogni modo trattavasi di trofie prosciutto crudo e porcini, il cui condimento risultava comunque piuttosto gustoso a merito della indiscutibile qualità dei funghi, e di tortellini al burro e tartufo, molto meno brillanti delle compagne di piatto.
Proseguiva quindi la contrattazione sulle pietanze (ovviamente di carne) che sarebbero seguite come “secondi”. Escluso il pur bramato “sottopancia”, per un onestamente auto-denunciato problema di qualità nei residuati della dispensa, il titolare ci proponeva un trittico di tre differenti tipologia di carne.
Ranch steak house – Formaggi assortiti
La prima, confessiamo, è un assaggio di asino alla piastra, che abbiamo avuto modo di cannibalizzare a cuor leggero, anche perché magistralmente aromatizzato con pomodoro secco, prezzemolo e aglio, mentre ci sono risultati meno apprezzabili il gusto e la cottura del proposto parasangue di cavallo (comunque buono). Concludeva il trittico una sontuosa bistecca fiorentina di manzo che, come d’abitudine per il “Ranch”, è stata sezionata di fronte ai burricchi, e cotta direttamente sulla piastra al tavolo.
Non parendo oggettivamente interessante la proposta dell’unico dolce disponibile, lo chef Taras suggeriva di procedere con una degustazione di formaggi. In effetti l’assortimento di caprino, pecorino fresco e pecorino semi stagionato, accompagnato da confetture di fichi e di pera, è risultato piuttosto gradevole, almeno per i due terzi dei prodotti inclusi.
Dopo ulteriori attese, concludevamo la serata con dei caffè, con una sprite (marchio di fabbrica del Burriccu Sollai) e con una serie di rum Ron Zacapa 23YO. Costo totale della cena 42€ cadauno, abbastanza in linea con «tottu cussu ca ci seus pappau e buffau».
Volendo giudicare il “Ranch steak house” per la propria natura di bisteccheria e per le proprie eccellenze, la votazione sarebbe di assoluto valore. Il servizio lentissimo e non sempre attento, la qualità dei primi piatti e l’assenza di una vera carta dei dessert però, ridimensionano inevitabilmente il merito iniziale. Sono stato fino all’ultimo in dubbio se assegnare o meno un terzo burriccu, che formalmente dà la nostra benedizione a un locale.
Beh, considerando che personalmente mi vien voglia di tornarci solo per mangiare gli spiedini di pecora, e avendo considerato tutti i giudizi negativi dei miei commensali – sapendo che questi se ne lamenteranno -, alla fine non ho avuto dubbi: tre burricchi, meno meno meno.
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nov
24
2012
Locanda Margherita – Via Sardegna
Quale perfetta figura può disegnarsi dalla composizione virtuale di tre coppie di orecchie asinine, secondo una perfetta geometria che accosta il simbolismo del numero perfetto associato al Triumvirato alla disposizione degli elementi a tavola secondo una sorta di burriccu vitruviano, e che prende vita nell’immagine di un fiore, simbolo della bellezza perenne: la margherita.
M’ama o non m’ama?…
Marrocu o non Marrocu?
Ma ecco la voce della beata innocenza che sentenzia.
Ettore: «…avevo prenotato per tre, ma ne abbiamo perso uno…»
Cameriere: «ma… per sempre?»
Ettore: «può essere… Chi può dirlo?!..»
Locanda Margherita – Interno
Cagliari, quartiere Marina, venerdi 23 novembre ore 20:50. Dopo aver garantito un adeguato, quanto impegnativo, accomodamento alla tracotante 150CV, anche grazie all’intervento di Ettore park assist che, tra urla e irripetibili improperi, riesce a guidare la manovra dell’ipertricotico, quanto impacciato, burriccu dal sedile del passeggero, lo zoccolo duro del citato Triumvirato si aggira tra i vicoli alla ricerca della designata destinazione, il ristorante Locanda Margherita, nella centralissima via Sardegna.
L’integrità della margherita asinina è in questa serata deturpata dall’ennesima assenza ingiustificata, quanto tardivamente segnalata, dell’indisciplinato Ing. Marrocu, che probabilmente ha ripiegato su una ben più economica pizza margherita.
Locanda Margherita – Bruschette antipasti
L’ingresso molto piccolo, quasi un pertugio nella parte più stretta della via che lo ospita, celerà come vedremo, una piacevole realtà gastronomica. Un piccolo disimpegno, che ospita il bancone con la cassa, separa l’accesso ai servizi e alle cucine dalla sala principale, di pianta rettangolare, capace di ospitare poco più di trenta coperti, anche grazie ad una piccola zona ricavata in un grazioso soppalco in legno scuro; materiale, questo, che impreziosisce il soffitto, dominato da travi a vista, mentre nelle pareti sono ricavate diverse nicchie con rifiniture in pietra, in cui trovano alloggiamento libri sulla Sardegna e suppellettili di vario tipo. Il lato più stretto della sala coincide con una poco elegante porta finestra che immette sulla strada; il lato opposto è dominato da una dispensa ricavata da eleganti mensole, eleganza ridimensionata da un inopportuno banco frigo e un colorato frigorifero per le bevande. I tavoli sono lignei quadrati di colore scuro, apparecchiati con tovagliame monouso. La gradevole ambientazione è risultata però lievemente compromessa da inopportuna musica di sottofondo;
Cameriere: «tutto bene?»
Jesus: «benissimo, un unico appunto, Ligabue non si può sentire!»
Locanda Margherita – Antipasti freddi e caldi
Veniamo accolti da un gentile cameriere che supponiamo essere uno dei gestori e che si rivelerà molto attento e professionale.
Il locale propone una offerta molto ampia di cucina di mare e di terra. Decidiamo di iniziare le danze con una degustazione di antipasti di mare. L’offerta della cantina non eccelle per assortimento, ma garantisce comunque poche etichette di buona qualità, tra le quali premiamo un buon DOCG S’Eleme 2011 della Cantina del Vermentino di Monti, servito con il consueto rito dell’assaggio, eccezionalmente performato in questa occasione dal burriccu Jesus.
Al tavolo arrivano subito delle eccezionali bruschette di pane carasau con olio (Oleificio Desantis – Bitonto[BA]) e origano, delle quali i due somari abuseranno parecchio durante la serata.
Locanda Margherita – Zuppa di cozze e arselle
Appena il tempo di brindare all’assenza, temporanea o definitiva, da decidersi, dell’iporticotico burriccu e giungono i primi antipasti: ottimo muggine a scabecciu, gradevoli alici marinate, ottima insalata di polpo e radicchio, straordinari granchietti bolliti con olio d’oliva, buone cozze gratinate e burrida di gattuccio, risultata decisamente gradevole a chi Vi scrive e meno, causa predominanza del gusto dell’aceto, al palato dell’incopetente Jesus.
La carrellata di antipasti freddi, con un costante monitoraggio del tavolo da parte del cameriere/gestore che provvedeva a cambiare stoviglie e posate con perfetta scelta di tempo, lascia il palcoscenico al gran finale: sontuosa zuppa di cozze e arselle ed eccellente frittura di gianchetti. Oltre alle porzioni decisamente abbondanti, e alla puntualità del servizio, emerge subito la straordinaria genuinità delle materie prime, cucinate secondo ricette semplici e classiche, ma di eccezionale rendimento.
Locanda Margherita – Linguine ai ricci di mare
Il periodo favorevele per la pesca del nobile frutto, fa cadere la scelta del primo piatto in una scelta unanime: linguine ai ricci di mare. Dopo qualche minuto di fisiologica attesa dei tempi di preparazione, veniamo omaggiati di una delle migliori espressioni del connubio tra la pasta e le gonadi del prezioso echinoide: spettacolo!!
Appagati dal punto di vista nutrizionale, ma stimolati dalla qualità dei piatti in continua crescita, all’iniziale indecisione sull’opportunità di provare i secondi piatti, dirottiamo su un meno impegnativo assaggio di crostini con polpa di riccio, divorati in larga parte dal sottoscritto.
Locanda Margherita – Bruschette ai ricci
Degna di nota l’offerta di dolci della casa, realizzati in gran parte dal cameriere/gestore/pasticcere, fra i quali ci lasciamo attrarre da una torta con crema chantilly e mele cotogne, realizzata con pan di Spagna bagnato con la Sprite (avete capito bene: la Sprite del burriccu Sollai!). Ottimo dessert, non solo per sapore, ma anche per una impensabile leggerezza al palato, nonostante il caloricamente bellicoso aspetto. Un ottimo moscato di produzione artigianale ha accompagnato il momento nel modo migliore.
Locanda Margherita – Torta crema chantilly
La cena si è conclusa con un caffè per Jesus e senza ulteriore consumo di alcool nelle sembianze di digestivi vari. Costo dell’esperienza: 30€cad. burriccu, da considerarsi un poco inferiore rispetto alla qualità del servizio offerto.
Locanda Margherita, nonostante la poca appariscenza in una zona della città che brulica di ristoranti e trattorie, unisce ad una straordinaria genuinità delle materie prime, cucinate secondo semplici ricette della cucina classica cagliaritana, un servizio molto attento e puntuale, aspetto questo ahimè non eccessivamente curato in molti locali, ma che contribuisce in buona parte al successo di qualsiasi esperienza gastronomica per il cliente. D’altra parte, qualche sbavatura nella scelta dell’arredamento e una musica di sottofondo, eccessivamente monotematica oltre che poco adeguata, non ci consentono di dare un giudizio ancora più ecclatante: tre somarelli più che meritati e adesivo-rating in arrivo: complimenti!
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ott
13
2012
Jacaranda – Interno
Nel grigio senza luce. Ebbene non è piacevole il Poetto d’Autunno. Triste, spoglio, privo di gioia, di luce, di voglia di luce, d’animo di celebrazione e di festa.
E delle lunghe camminate sotto la luna, delle mille insegne, del milione di passi confusi tra le gaie risa e lo squillante tramestio delle bicchierate goduriose, ora che ne rimane?
Dei licenziosi balli, degli inviti a nozze, delle conquiste e delle delusioni, della mistica magia dei movimenti di Salsa del Prof.Gessa, non ci sovviene altro che uno sbiadito ricordo, nel buio di quest’ultimo fine settimana?
Jacaranda – Antipasti
Alla ricerca del colore. Venerdì sera, ore 20.55. Jesus e il Raschione Ettore, “inconsolabilmente” privi della compagnia del terzo triumviro ufficiale, Ing.Marrocu, temporaneamente disperso tra le Street e le Avenue di Nuova York, parcheggiano – nel buio e nel silenzio del Viale Poetto -, senza sforzi e poco distanti dalla loro destinazione: uno dei pochi vantaggi del lungomare in bassa stagione.
Un’esplosione di colori. La Jacaranda (iacaranda), pianta di origine tropicale, è in natura un inno al colore, al giubilo, alla festa, espressa e manifestata con le infinite e prorompenti sfumature del blu dei suoi fiori.
Di questo infinito blu, nel ricordo dell’Estate ormai andata via, in questa notte di metà Ottobre, i Burricchi fanno ricerca. Alle ore 21 in punto, gentilmente accolti dal gestore/cameriere, il monco Triumvirato faceva discretamente ingresso al “Jacaranda”.
Jacaranda – Gamberi al vapore con crema di ceci
Il Ristorante è felicemente ubicato all’altezza della “prima fermata” del lungomare Poetto, a pochi passi dalla famosa “spiaggia dei centomila”, ed è riservatamente integrato nella struttura dell’Hotel “Chentulunas”, di cui riprende l’apprezzabile tema estetico generale, e diversi pregevoli decori dell’interno.
Alcuni tavolini bianchi sono disposti all’esterno del locale – coperti da eleganti tentaggi -, ad usufrutto della bella stagione mentre, lateralmente, individuiamo una piccola veranda più riparata.
Dapprima, i burricchi si accingevano a quivi soggiornare poi, scorgendo taluni bellicosi nematoceri sulle pareti, sceglievano di riparare nella sala interna.
Jacaranda – Ostriche S. Teodoro
La non estesa sala principale, si estende in maniera irregolare, longitudinalmente accarezzata da un suggestivo bancone da bar, da cui emergono una splendida specchiera, una strana lampada a forma di riccio di mare, e altri piccoli elementi di arredo, ben armonizzati nel loro contesto. Le sfumature del lilla dominano cromaticamente la scena, mentre i piccoli tavoli in legno, le sedie minimaliste, i bicchieri multicolore, stampe di vecchi casotti e vari suggestivi punti luce, disegnano un ambiente elegante e moderno. Apprezzabile la diffusione acustica di musica anni 70/80, mentre dobbiamo appuntare su certi piccoli peccati d’estetica – a cui facilmente si potrà porre rimedio -, quali: la presenza di tasselli non pienamente nascosti nella muratura, una vetrina della frutta non brillantemente allestita, la porta della cucina sempre aperta, e una pila di sedie, maldestramente abbandonate in fondo alla sala.
Jacaranda – Tagliatelle al nero, con gamberi astice e cognac
Seduti e accomodati al proprio tavolo, i burricchi prendevano subito confidenza con l’ambiente e con il cameriere che, durante l’evolversi della serata, è stato capace di garantire un servizio di ottimo livello, accompagnato da una ben equilibrata dose di empatia. C’è da dire che, data l’esigua presenza di avventori in sala, sia il servizio che la cucina non sono mai stati particolarmente sollecitati. Qualche piccola accidentale distrazione, ha invece prodotto la rottura di alcune stoviglie, senza che venissero per questo scomodate benemerite figure della misticità popolare: «Jesus, io veramente non capisco come sia possibile rompere un bicchiere senza chiamare in causa qualche Santo del Paradiso!»
Jacaranda – Filetto di branzino al Sauvignon
Il menù del “Jacaranda”, parimenti alla selezione dei vini, è ben strutturato e di elevatissima caratura.
Dalla selezione à la carte (presenti anche menù fissi più economici) sceglievamo di esordire con un assortimento di sei (l’alternativa era quattro) portate d’antipasti, accompagnate da un eccellente vermentino IGT superiore Capichera Viormennay, Isola dei Nuraghi: delizioso pasticcio di seppie al cabernet-sauvignon su letto di carasau; insalata di polpo, rucola, pomodorini e aceto balsamico; frittelle di gianchetti aromatizzati all’arancia; impeccabile soutè di cozze gratinate; gustosi gamberi al vapore con crema di ceci, e un assaggio di impareggiabili ostriche di San Teodoro: «Queste ostriche sono come le sarde, piccole ma buonissime!»
Jacaranda – Gelato alla birra con pinoli
Di pari e più elevato livello, è risultato il primo piatto, ordinato comune dai due belligeranti burricchi: strepitose tagliatelle al nero con astice fresco, gamberi e Cognac, conditi con pomodori e foglioline di prezzemolo. Chapeau!
La cena è stata un crescendo di deliziose emozioni, che sono culminate nella scelta di un unico secondo piatto (da dividere in due, ma in realtà le porzioni erano più che abbondanti): filetto di branzino al Sauvignon, con polpa di ricci e asparagi di mare; questi ultimi (Salicornia) sono vegetali non comunissimi per le nostre tavole, dotati di una sapidità piuttosto marcata, e capaci di garantire un gradevolissimo e strutturato apporto, nella salatura dei piatti di mare. A domanda precisa di Jesus, il cameriere rispondeva: «questi li compriamo dal “Cozzaro Nero”, al mercato del pesce di San Benedetto».
Jacaranda – Semifreddo menta e cioccolato
Ugualmente apprezzabile la selezione dei dolci, con portate tradizionali e altre meno comuni, quali il Gelato alla birra e pinoli (la ricetta indicata sul menù prevedeva le arachidi, non disponibili), comandato dal Raschione Ettore, e un ben appariscente semifreddo alla menta e cioccolato – divorato da Jesus-, servito su uno scenografico accomodo di cristallo blu, in memoria del mare e dell’Estate che questa sera, almeno dal punto di vista dei nostri peccati di gola, abbiamo ritrovato.
La cena si concludeva quindi, con un caffè e un amaro “Cynar” per Jesus, nonché con una grappa barricata “Anghelu Ruju” di Sella&Mosca per il Raschione. Costo complessivo dell’esperienza, 65€ cadauno, sicuramente ben commisurati all’elevatissimo livello qualitativo di cucina e servizio, e rimpinguati con una adeguata mancia.
Da segnalare, il gradevole scambio di vedute, a fine serata, con l’illuminato gestore/proprietario, in merito a vari aspetti della gestione del Turismo a Cagliari, e sul fatto che, in città, dovrebbero essere più numerosi i locali frequentati e apprezzati, non solo per il basso costo e il televisore in sala!
Il giudizio che diamo al “Jacaranda”, non può che essere pregno di elogi e apprezzamenti, conseguiti per una cucina di altissimo livello, prodotti e materie prime di primissima qualità, e un servizio più che all’altezza. Ci informano che, in realtà, le specialità dello chef sono legate all’ingrediente dei ricci di mare; sarebbe quindi doveroso visitare questo delizioso ristorante, all’appropinquarsi della loro stagione. Quattro Burricchi!
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